… and I know too much now

To really feel at home in any one place.

(Goh Poh Seng)




martedì 22 febbraio 2011

threesixty


Come in altre occasioni, le immagini passano veloci, una dopo l'altra. Attraverso lo stesso finestrino, dal quale per anni ho osservato il mondo, continuo a guardare. Non cedo alla tentazione di trarre veloci conclusioni. Le differenze che emergono ad una prima riflessione sono troppo grandi per rendere giustizia alla complessità in questione. Che senso avrebbe affermare quanto tutto è cambiato? E magari stupirsi dell'entità del cambiamento? Della velocità, dell'imprevedibilità, di quanto tutto questo sia magico proprio perché inaspettato ed incontrollabile. Ancora una volta stupirsi e riaffermarsi che per quanto si possa avere un piano, la sua realizzazione non dipenderà mai esclusivamente da noi stessi.

No. Non importa se le immagini che osservo scorrere velocemente attraverso il vetro non narrano più di terre esotiche. Quello che vedo non è il tetto del mondo. Non sto percorrendo la via della seta, né rincorrendo il lontano Oriente. Ancora una volta, come sempre, provo stupore. Stupore che comincio ad apprezzare in quanto tale, in quanto immancabile componente di ogni processo conoscitivo. Di ogni innovazione, di ogni piccola finestra che apro sul mondo. Molte ne ho aperte, molte ancora vorrei aprirne.

Quello che spesso sono andato a cercare in posti lontani, si manifesta con impensabile vigore davanti ai miei occhi, qui, a casa, ogni giorno. Raramente ho avuto modo di osservare persone così diverse, provenienti dagli angoli più lontani del mondo, vivere insieme nello stesso luogo. Tutti hanno lasciato la propria casa, ognuno con la propria buona ragione. Molti pensano un giorno di tornare, altri sono sicuri di non tornare mai, altri, come me, non ci pensano.

Sono profondamente diversi tra loro, e, allo stesso tempo, sono davvero uguali.


R.

venerdì 10 dicembre 2010

Kabul



Dopo piu' di trenta ore di viaggio sono arrivato. Ho sorvolato l'atlantico fino a Fancoforte. Poi ho sorvolato l'europa e buona parte dell'Asia, fino a Dubai. Ho visto dal finestrino una citta' irreale, l'arcipelago artificiale a forma di palma, le autostrade in mezzo al deserto, l'edificio piu' alto del mondo, Burj Khalifa, uno spillo affilato che trapassa le nuvole. Poi l'ultimo volo, attraverso le bellissime montagne afghane, fino ad atterrare in un aereoporto che sembra piu' una base militare. Il mio passaporto blu mi garantisce un agile passaggio della frontiera e un posto su una jeep militare con vetri antiproiettile e autista in stile Rambo. Vengo portato direttamente nella base dove si trova l'ufficio della WB. Intorno a me solo sacchi di sabbia, uomini armati di kalajnikov, filo spinato ed edifici anonimi. Il security briefing e' la prima tappa per tutti. Mi consegnano una radio e un cellulare, e mi insegnano come comunicare con gli autisti e i vari addetti alla sicurezza. Poi finalmente un letto e qualche ora di sonno. Ci rechiamo all'hotel Serena di Kabul dove presentiamo il nostro progetto nel corso di un seminario sullo sviluppo del settore privato in Afghanistan. Molto interesse, molte domande. Conosco molti afghani che lavorano a Kabul. Avvocati, architetti, professori. Mi sorprende quanto siano interessati alla nostra presentazione e a quello che facciamo. Torno alla base. Un'altro scorcio di Afghanistan rubato da dietro il vetro antiproiettile di un gippone. Un vero peccato non poter scendere e camminare, esplorare, vivere, come sono sempre stato abituato a fare. D'altronde anche Kathmandu sotto assedio dai maoisti non era troppo diversa, almento ad occhio. Qualche soldato in meno, ma neanche troppi. Le circostanze sono pero' chiaramente diverse, anche se e' difficile abituarcisi.

lunedì 25 ottobre 2010

..news from the east coast


Dear assholes

è molto che non scrivo. Odio avere molte cose da raccontare e non sapere da dove cominciare. Va a finire che non le dico tutte, e così sarà anche questa volta: altro incentivo ad essere più costante. Tra qualche giorno festeggerò i miei primi sei mesi in terra yankee. Concedetemi di essere banale: il tempo vola. E' indescrivibile quanto veloce mi sia passato questo pezzo di 2010. Il lavoro intenso ed i mille cambiamenti hanno sicuramente contribuito ad accelerare la clessidra, ma ancora mi è difficile credere che sono via da sei mesi. Le cose si fanno serie: comincio a conoscere la la città, i nice spots, le persone. In fondo DC non è grande, e fuori dal ghetto ci si sente tutti nello stesso quartiere tirato al lucido. Si vive bene, si cammina, non manca il verde, né mancano compagni di avventure con cui ogni tanto condivido e soddisfo il bisogno di uscire un po' dalla bolla degli young professionals alla ricerca di qualcosa di più vissuto, sporco e spontaneo. Continuo a pensare che il ghetto siamo noi.

IL LAVORO va molto bene. E' stato molto stancante nell'ultimo mesetto, ma per fortuna venerdì il nuovo report è stato mandato a stampare e le cose dovrebbero calmarsi un po'. Come qualcuno saprà ho vinto il concorso a cui avevo partecipato, quindi a breve diventerò staff della banca mondiale. Ancora non realizzo. Una volta ricevuta la buona notizia è cominciato l'inferno burocratico. Hanno assunto una società di investigazione per verificare che le informazioni da me fornite sul mio background fossero vere. Ancora rido al pensiero che possano aver chiamato l'università di firenze al numero che gli ho dato (qualche ufficio in piazza san marco). Hanno fatto i loro conti e alla fine mi hanno offerto un contratto. Ho accettato. Altro passaggio: controllo sicurezza. A questo punto ho tremato date le tipiche macchinose procedure legate al mio secondo passaporto. Per fortuna in 3/4 giorni mi hanno dato il via libera, e quindi entro la prossima settimana dovrei firmare. E' un incarico di 2 anni nel progetto dove lavoro adesso. Due grossi cambiamenti: il trattamento (non che finora abbia sofferto, ma il nuovo contratto è davvero splendido: piano pensione, ferie pagate, assicurazione medica, e molti altri benefits al limite del ridicolo per noi italioti) e la durata (due anni. E' una grande notizia non c'è dubbio, ma comunque un po' mi scombussola. In effetti non ho mai pensato che sarei tornato a casa dopo sei mesi quando sono partito, ma pensare di stare a washington per due anni fa il suo effetto).

LA CASA nuova spacca. Due amici che ho conosciuto qui cercavano qualcuno che si trasferisse nella loro splendida casa. Una casetta in stile inglese, a mattoni, in una zona molto carina.




Non è ovviamente tutto. Cercherò di mettere qualche altra foto al più presto e magari includere qualche aneddoto meno serio e per questo ben più gradito.

Mi mancate tutti. Da quando sono partito molti di voi si sono laureati e molti si laureeranno quando io sarò ancora qua. Qualcuno ha avuto un bambino, ed io non c'ero. Qualcuno è in un momento difficile e io non posso esserci. Altri continuano ad avere le loro vite di cui ho sempre fatto parte. Qualcuno sta per fare scelte importanti di cui non sarò partecipe. Qualcuno è partito, chi per molto chi per poco. Altri stanno per partire, e io non sarò la a salutarli. Everything changes, everything stays the same.

R.

mercoledì 28 luglio 2010

UN Laissez-Passer

Pensavo ormai di essermi abituato all'idea. Pensavo di aver superato la fase della meraviglia l'infantile. Almeno in parte mi sbagliavo. Ciò che per molti di quelli che qui mi circondano è un'esperienza ordinaria, una naturale continuazione dei loro piani di vita, per me è qualcosa di diverso. E' un'esperienza densa di significato. E' molto più che passare da una buona scuola ad un buon lavoro. E', almeno simbolicamente, il raggiungimento di un obiettivo di lungo periodo, individuato, più o meno esplicitamente, all'inizio di un percorso di studio e di riflessione che ho vissuto profondamente e per molti anni. Una riflessione che ha continuamente coinvolto aspetti politici - la mia idea di mondo - ed aspetti scientifici - la mia idea di economia. E' a questo percorso, che come nient'altro mi identifica ai miei stessi occhi, che ho pensato oggi. Ho pensato a tutte le persone con cui sono cresciuto e con cui ho avuto la fortuna di confrontarmi nel corso degli anni. Ho pensato a tutte le persone che ho conosciuto nei molti paesi che ho potuto visitare. Ho pensato ai sei miliardi di persone a cui sento di voler bene e che mai avrò modo di conoscere. A tutto questo ho pensato in meno di un secondo, quando mi hanno consegnato il passaporto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a mio nome. Un pezzo di carta che mi riempie d'orgoglio come mai avrei potuto immaginare, e che per me ha un valore che non riesco a descrivere a parole.

R.




lunedì 21 giugno 2010

puertorico break


puertorican styla'


pinacolada

la porchetta ai caraibi


hard work

alcune nuove

Cari tutti,

come sempre vorrei avere più tempo per scrivere e per parlarvi, ma tra fuso orario e lavoro per ora è difficile. Sto cercando di corrompere il responsabile informatico del mio progetto per sbloccare skype nel mio ufficio, quindi la comunicazione dovrebbe migliorare a breve. E' passato un po' ormai dal mio ultimo post. Qui le cose vanno abbastanza bene, Washington è molto carina e piuttosto europea, gli edifici non sono superalti, si vede il cielo ed il sole quando si cammina, e soprattutto si cammina. Si vive bene senza macchina, cammino per andare quasi ovunque, e comunque sia metro che taxi sono economici ed efficienti. North-West DC non è così grande, tra musei, festival feste etc. c'è sempre qualcosa da fare e si conoscono un sacco di persone. Ho la sensazione di vivere un po' in una sfera protetta, e in effetti è così. Difficilmente esco dal North-West, nessuno lo fa. So che prima o poi mi verrà a noia quest'idea della segregazione, della cricca del personale delle organizzazioni internazionali e dei dipendenti del US government che se ne stanno ghettizzati. Non mi lamento di dove abito né di North-West in generale, si vive molto bene. Manca qualcosa però, una genuinità, un senso di radicamento e di quotidianità consolidata che i giovani rampanti dell'Ivy League non possono dare. Qualcosa di cui gli sradicati e i viaggiatori non possono fare a meno di cercare. Quel qualcosa che rappresenta l'anima di ogni posto, e che continuerò a cercare oltre le estreme contraddizioni di questo paese.

sabato 15 maggio 2010

lunedì 10 maggio 2010

News from DC



h8: sveglia, barba, doccia.
h830: camminata da Vermont Ave. su K street fino a lavoro.
h9: caffè espresso al bar e si comincia a lavorare.

I nuovi ritmi sono intensi, ma il lavoro è molto stimolante e arrivo a fine giornata stanco ma contento. In parte è un sentimento un po' superficiale, dovuto all'essere dentro un edificio stramoderno e costruito per impressionare. Ci sono guardie all'ingresso che non fanno avvicinare nessuno se sprovvisto del badge apposito, che ti aprono la porta e ti dicono "Good morning Sir have a nice day". Gli ascensori sono grandi come appartamenti e arredati da stilisti. Gli uffici sono bellissimi, come ce li immaginiamo nei film. Per mangiare c'è l'imbarazzo della scelta: la mensa della World Bank ad esempio ha una decina di cucine tra cui eccellono l'angolo sushi (con vero e proprio maestro del sushi in kimono che confeziona tutto davanti agli occhi dei clienti) e l'angolo della griglia in cui si possono scegliere pezzi di varie bestie (di mare e di terra) da farsi cuocere al volo. Anche la mensa del Fondo Monetario Internazionale non è male, meno scelta ma l'edificio è qualcosa di impressionante. Oltre a queste cosette, anche da un punto professionale si tratta di un altro mondo. Sono trattato con molto rispetto, ho responsabilità chiare, e voce in capitolo su quasi tutto quello che riguarda la mia area tematica. Non ci sono controlli rigidi sugli orari né su altro, né ci sono cose che devo fare perché sono arrivato da poco o cose che per questo stesso motivo non posso fare. Si aspettano semplicemente che faccia quello che mi hanno chiesto, e sono disponibili a discuterne. Veramente disponibili. Quasi mi ero dimenticato cosa volesse dire LAVORO.

Per qualunque cosa di cui abbia bisogno c'è un ufficio. Vuoi i biglietti da visita personalizzati con il logo della WB (certo che li voglio!)? Manda una mail all'ufficio e in 2 giorni te li trovi sulla scrivania. Vuoi una chiavetta per controllare la posta di lavoro da casa? Manda una mail e te la trovi il giorno dopo sulla scrivania. Vuoi un dispositivo per collegarti da un qualunque telefono del mondo al tuo telefono d'ufficio. Mezza giornata ed è tuo. Hai mal di schiena? Chiama la dottoressa Smith, al terzo piano, che ti fa avere mouse e tastiera ergonomici e ti viene a calibrare la sedia in base alla curvatura della schiena. Ce ne sono sicuramente molte altre, e le scoprirò tutte col tempo.

La casa è molto carina, su 2 piani, che per ora condivido con una sino-americana trentenne PhD in Political Science alla GYU e uno yankee purosangue ventottenne che lavora al Department of Labour. Camera mia è grande e ho un bagno tutto mio, quindi sono in grado di ospitarvi in condizioni accettabili.

Vi allego qualche foto del girello istituzionale che mi sono fatto sabato. La città è davvero molto bella e vivibile (parlo di North-West DC, dove usa essere bianchi, benestanti e bere ai baretti all'aperto o prendere il sole sui prati perfetti che ci sono ovunque; a South-East va più di moda essere neri e spararsi addosso ma son gusti).


Il Tesoro Americano, fetish SECI-ESA.


The Washington Monument


US Capitol (il congresso)


Lincoln Memorial


da questo gradino MLKing pronunciò il suo "I have a dream"


White House, non ci crederete ma mentre ero al cancello è passato Obama in macchina con la sua scorta...


Reflecting Pool


martedì 16 settembre 2008

Varanasi

Good Karma

Diffcile distinguere cosa è vivo e reale da ciò che è ridotto in stato vegetale, come in coma, da una manciata di dollari. Le lacrime versate di fronte ai cadaveri in fiamme sono vere. Tre passi più in la, i venditori di seta ed i procacciatori di clienti, non lo sono?
Cosa può distinguere il vivo dal morto, il vero dal falso?
Ogni cambiamento dovuto all'inevitabile interesse globale per i misteri di Varanasi genera falsità?
Questa fusione, per quanto impari possa essere, non è una semplice minaccia. Non si tratta di una banale tensione tra due forze opposte. Pensarla così sarebbe riduttivo. Ogni città, ogni famiglia, ogni persona reagisce, tra vincoli ed opportunità congiunturali, al cambiamento.
E' facile essere tentati dal pensiero che anche qui, come ovunque, si applichi la semplice legge del turismo di massa: conformare il reale all'immaginario comune. Non è così. Non perché Varanasi sia diversa dagli altri posti (e lo è decisamente) ma perché ogni luogo reagisce a modo suo.

Non potendo osservare la genuinità, la purezza, la spontaneità (chi ha mai potuto?) dobbiamo accontentarci di apprezzare la specificità delle mille piccole reazioni di mille piccoli mondi. In questo modo forse potremo cogliere una briciola di autenticità.

lunedì 1 settembre 2008

senza tempo

ode al fiume

ciclosantone

meditation


una mattina sul Gange (2)


qualche nuova

Cari cosi,
la mia scuola e' cominciata.
Vi risparmio i dettagli noiosi che potrebbero non interessare i non economisti dello sviluppo, sappiate solo che c'e' gente da tutto il mondo, mi sembra di essere all'assemblea dell'ONU (o ai'mercato di san lorenzo).
Sappiate anche che da ieri ho un cell indiano al quale potete chiamarmi se volete (00919990719635). Vi consiglio di calcolare bene il fuso orario per evitare di svegliarmi nel cuore della notte.
Per gli amici fiorentini: vi avverto che Sara ha girato il mio blog ai suoi contatti lombardi vhe potrebbero non comprendere la genialita' dell'umorismo anticlericale toscano. Mi rendo conto che il Banko voglia la sua vendetta personale dopo che i miei commenti sul suo blog gli sono valsi la scomunica, ma chiedo pieta'..
Per tutti: dichiaro ufficialmente aperto il bando per venirmi a prendere a fiumicino il 15 settembre alle 22. Non morite dall'entusiasmo.

Do the Ska,

R.

in assenza di colore

una mattina sul Gange


  • Sara in the sky

    Denti



martedì 26 agosto 2008

Call me Rajaji

Autoriscio'

In assenza di parole

puja del mattino sul Gange


Mother Ganga


cbcr

New Fuckin' Delhi


Nel nome del padre, del figlio e dello Spirito Santo.

Oime', difficolta' legate alla mia copiosa sudorazione ed allo stato delle reti telematiche indiane mi hanno reso impossibile ogni previa comunicazione.

L'ambientamento e' stato iperaccelerato dalla presenza di SuperSara, che gia' da 6 settimane vive in questa intasata metropoli. La mia prima giornata indiana e' stata very holy. Con Sara abbiamo onorato un tempio giainista specializzato nella cura degli uccelli (pavoni, civette e anche stramerdosissimi piccioni). Il pranzo e' stato gentilmente offerto da un vicino tempio Sikh, nel quale, attrezzati di copricapo oro-fucsia ci siamo maldestramente intrufolati. Con le dita ustionate e la bocca impastata abbiamo proseguito il tour nel magico mondo delle religioni alla volta della Jama Masjid. Per concludere, SuperSara ha fatto pipi nel bagno di un cimitero Cristiano.

sabato 15 marzo 2008

mercoledì 14 novembre 2007

Kerala

Raccoglitrice di tè

La madre di Anthony

Mumbai (Bombay)

Festa in onore di Krishna

Dhobi Ghat (il quartiere dei lavandai)

Nel tempio

Darmesh




Dal nome stesso viene il sospetto. Bombay.
E' strano, c'è della follia nel suono che si emette per pronunciarlo.
Impossibile cercare di descrivere questo complicato ammasso di persone, strade, panni, cavi, binari, templi, taxi, suoni. Credo che comunque anche un breve cenno alla mia permanenza in situ possa dare l'idea.

Ho contattato tramite hospitality club (www.hospitalityclub.org) un paio di personepronte ad ospitarmi al mio arrivo a Bombay. Sono arrivato all'aereoporto la mattina alle 11, e l'unica cosa che avevo era un numero di cellulare. Ho chiamato. "Arrivo tra 15 minuti", mi ha detto Darmesh, di cui ovviamente non sapevo niente, tranne che 2 settimane fa aveva ospitato a casa sua una coppia di europei... Prima di potermene rendere conto mi ritrovo su un tuc-tuc lanciato a tutta velocità. In meno di 20 minuti sono dentro un tempio giainista (Darmesh nel frattempo ha già avviato la mia conversione al giainismo ortodosso, cercando di convincermi tra una buca e l'altra, e peraltro senza il minimo successo, che cipolle aglio e patate non vanno mangiate perché crescono sottoterra ... ) dove un ricco pranzo altrettanto giainista mi da il benvenuto.

La mia prima notte a Bombay la passo in un tempio giainista ad ascoltare una banda (in cui Darmesh suona la tromba) che suona pezzi giainisti.

Il giorno seguende passo in consegna ad una coppia, Sakina e Anoush (lei musulmana, lui zoroastriano) che mi ospita per quattro giorni, e mi introduce alla sacra pratica dello yoga, in una delle sue forme più dolorose. Nel frattempo, nonostante la stanchezza e la spossatezza (il monsone non da pace neanche qui) mi giro questa megalopoli di 14 milioni di abitanti, e con un certo orgoglio imparo a muovermi da solo con i mezzi pubblici, che sono davvero niente male. Forse il rimorso più grande è di non poter offrire testimonianza fotografica dei treni suburbani che collegano i quartieri di Bombay, ma la densità umana di quei vagoni caricava ogni mio movimento di conseguenze tanto imprevedibili quanto sgradite.
 
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